Domanda:
AIDS... quanto ne sappiamo in italia?
Cacchetto
2006-08-24 17:24:50 UTC
Secondo voi la fase finestra dell'infezione da HIV, ovvero il periodo che intercorre tra il contatto con il sangue infetto e il contagio vero e proprio, quanto può durare? Inoltre il sesso orale é davvero così pericoloso?
Undici risposte:
2006-08-24 17:51:35 UTC
Mmmm, secondo me il sesso orale non è così pericoloso (se sai con ki lo fai). Il contatto pelle sangue infetto non è contaggioso, il problema è sangue infetto in contatto con la bocca oppure in contartto con un altra ferita... ovvio, sesso con preservativo, così si contaggia e subito se no...
2006-08-25 23:55:17 UTC
Ma se ne sa poco non solo in Italia, ma anche nel mondo..!!

Questa malattia comparsa dal nulla, misteriosamente, col virus, dicono non ancora isolato, o che sembra un virus "pensante" perchè sa anche "nascondersi", il cosiddetto "periodo finestra (anche questo varia). Alcuni test sulla positività, tipo il Westernblot, sono stati giudicati inattendibili......Quando è comparso il virus? Quando gli stili di vita stavano cambiando.... Troppa libertà sessuale !.Ai benpensanti non sarà sembrato vero ghettizzare tossicodipendenti, omosessuali.......I primi tempi hanno creato delle vere campagne terroristiche......Mi ricordo, che avevano scritto su un quotidiano che la malattia era trasmissibile anche attraverso le punture di zanzare.....Per non parlare delle solite case farmaceutiche, i soli a trarne benefici

Quello che sto cercando di dire è che la verità ci viene nascosta perchè ci sono troppi interessi dietro......
2006-08-25 08:05:37 UTC
ti basti pensare che in fondo in fondo, neanche gli stessi scienziati che lo studiano ne sanno molto. non è mistero che il virus dell'aids non sia ancora stato isolato (a tal proposito il governo tedesco fu multato per aver pubblicato un opuscolo con la foto di un virus ripreso al microscopio elettronico spacciandolo per il virus HIV) cosa abbastanza strana dato che ci è voluto relativamente poco per isolare il virus della SARS, cioè il CORONA VIRUS. cosa ancora più strana è che gli anticorpi che produciamo contro l'HIV siano inefficaci. a tutte queste perlplessità ha avanzato una ipotesi un biologo premio Nobel, cioè che in verità il virus HIV e l'AIDS stessa non esistono. SI è fatto notare come i sintomi della malattia coincidano perfettamente con gli effetti collaterali dei farmaci anti-AIDS. ma è un discorso troppo lungo e complesso per essere affrontanto su uno spazio relativamente piccolo come questo.
2017-02-08 02:58:31 UTC
Qui puoi trovare un efficente rimedio per la candida http://EliminareLaCandida.netint.info/?eJm6

La candidosi (o candidiasi) è un’infezione fungina causata da lieviti appartenenti al genere Candida. Ci sono almeno 20 specie che possono causare un’infezione negli esseri umani
2006-08-26 09:01:05 UTC
AIDS è l'acronimo di Acquired Immune Deficiency Syndrome o, in italiano, Sindrome da immunodeficienza acquisita e con esso si definisce la sindrome in cui si riscontra un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione di linfociti T tra cui infezioni da microrganismi normalmente non patogeni ed insorgenza di tumori sia comuni nella popolazione generale sia caratteristici delle persone immunocompromesse sia peculiari di chi presenta tale sindrome. Essa è ritenuta, dalla maggioranza degli addetti ai lavori, causata dal virus HIV.La sindrome è, allo stato attuale delle cose, sostanzialmente incurabile, nel senso che non è possibile eradicare totalmente il virus dall'ospite, tuttavia le terapie odierne, di gran lunga meglio tollerate di quelle usate al momento dell'emergenza dei primi anni '80, riescono ad abbassare la viremia a livelli bassissimi o non rilevabili consentendo la ripopolazione del comparto linfocitico e la prosecuzione di una vita più normale. L'andamento clinico-patologico della sindrome è estremamente variabile tra gli individui per il fatto che la progressione dell'infezione dipende da fattori genetici sia del virus (Campbell et al., 2004; Campbell et al., 2005; Senkaali et al., 2005) che dell'ospite (Clerici et al., 1996; Morgan et al., 2002a; Tang et al., 2003) che dalle condizioni igieniche e dalle co-infezioni (Morgan et al., 2002b; Lawn et al., 2004), esiste un unico caso documentato in Italia a Roma di soggetto immune (vedi in seguito).



Nei paesi in cui le costose cure antiretrovirali e le cure per le infezioni opportunistiche e neoplastiche sono maggiormente disponibili, o come in Italia pagate dal SSN, la mortalità dell'AIDS è di molto ridotta (Palella et al., 1998), bilanciata però dai problemi causati dagli effetti collaterali (Montessori et al., 2004) dallo sviluppo di resistenza ai farmaci e dalla bassissima acquiescenza dei pazienti.





Si pensa che la sindrome sia originata nell'Africa sub-sahariana (Gao et al., 1999) per mutazione di un retrovirus animale, forse della scimmia, che nel XX secolo fu trasmesso alla popolazione umana diventando poi una epidemia globale. La UNAIDS e il WHO stimano 25 milioni di morti dalla scoperta della sindrome, il che ne ha fatto una delle più terribili epidemie della storia. Nel solo 2005 sono stati stimati circa 3,1 milioni di morti di cui 570.000 bambini.



Globalmente, un numero compreso tra 36,7 e 45,3 milioni di persone vive con l'HIV (fonte UNAIDS, 2005). Nel 2005, un numero compreso tra 4,3 e 6,6 milioni di persone è stato infettato e un numero compreso tra 2,8 e 3,6 milioni di persone è morto per l'AIDS, un incremento dal 2004 e il numero più alto dal 1981.



Il più recente report di valutazione del World Bank's Operations Evaluation Department valuta l'efficacia dell'assistenza offerta dalla Banca Mondiale agli stati in termini di definizione delle strategie, lavoro analitico e prestiti con l'esplicito obiettivo di ridurre l'impatto epidemico dell'AIDS. Questa è la prima valutazione generale dell'aiuto della Banca Mondiale alle nazioni, dall'inizio dell'epidemia di HIV/AIDS fino a metà del 2004. Trattando di implementazioni di programmi governativi per i governi, il rapporto fornisce indicazioni su come i programmi nazionali per la lotta all'AIDS possono essere resi più efficaci.



I dati diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004 rivelano un aumento della pandemia da HIV così come un aumento delle persone decedute per AIDS.



Nei paesi dell'Africa Sub Sahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione e più dei tre quarti delle donne. In America latina e nell'area caraibica, nello scorso anno, vi sono state circa 2.000 infezioni che hanno portato il numero di sieropositivi a circa 2 milioni. Con i suoi 100.000 morti tale area è quella che è stata più colpita dopo l'Africa Sub Sahariana.



In medio oriente ed in Nord Africa, ad eccezione del Sudan, tutta l'area presenta una prevalenza di HIV bassa. Attualmente vi sono circa 600.000 infetti dal virus (compresi i 55.000 che si sono aggiunti lo scorso anno) e nel 2003 l'AIDS ha ucciso circa 45.000 persone.



Nei paesi dell'Europa dell'Est e dell'Asia Centrale l'epidemia è in espansione con 1,3 milioni di persone sieropositive contro le 160.000 del 1995.





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Patogenesi

Ciò che l'infezione virale provoca è la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Sebbene una risposta immune particolarmente forte può essere utile per controllare la replicazione virale, il mantenimento di un tale stato nel corso del tempo può portare a progressivo esaurimento e deplezione cellulare.

Evento centrale nella patogenesi dell'infezione da HIV è l'interessamento della linea linfocitaria.

Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T:



Riduzione della risposta proliferativa alla stimolazione antigenica,

Sbilanciamento della risposta Th1 a favore di quella Th2. Ciò determina una riduzione dell'immunità cellulare a tutto vantaggio di quella umorale,

Mancanza o riduzione della risposta T ad opera di antigeni cui si era precedentemente suscettibili. Si ipotizza che ciò possa essere dovuto ad una precoce deplezione dei linfociti CD4 di memoria probabilmente a causa della loro alta espressione del recettore CCR5.



Attualmente si ritiene che tutti questi fenomeni non abbiano una base univoca ma multifattoriale:



è noto che l'HIV sia in grado di uccidere direttamente la cellula per lisi (effetto citopatico). Ciò potrebbe avvenire per accumulo eccessivo di particelle o materiale genetico o proteico di natura virale. Si pensa che a ciò si possa aggiungere un'inibizione eccedente dell'espressione proteica della cellula ospite,

l'HIV è in grado di generare sincizi per la fusione delle membrane cellulari di cellule infette tra loro oppure con cellule sane a causa del legame che si può formare tra gp120 e CD4. A seguito della fusione si determina un forte rigonfiamento e morte cellulare in poche ore. Sembrerebbe che la capacità di formare sincizi sia limitata solo ai ceppi T-tropici di HIV-1.

la formazione di anticorpi contro proteine dell'envelope virale può essere responsabile della lisi di cellule esprimenti questi antigeni sulla loro superficie. Possono intervenire diversi fenomeni in quest’evento: la lisi mediata da linfociti T specifici o ad opera di cellule citotossiche (NK, granulociti, fagociti mononucleati),

apoptosi linfocitaria. Questo fenomeno coinvolgerebbe sia i linfociti T CD4+ che quelli CD8+. Per i primi si sospetta il coinvolgimento del legame CD4-gp120 nella genesi del fenomeno cui si aggiunge l'attivazione linfocitaria per stimolazione del recettore per l'antigene

(TCR) con conseguente aggregazione dei CD4 e scatenamento del fenomeno apoptotico. Nella genesi di questo fenomeno, tuttavia, sono coinvolti altri fattori. Varie proteine virali, env, vpr, nef, vpu e tat hanno dimostrato di indurre apoptosi in linfociti T non infetti sebbene tra essa si ritenga che in vivo l'azione più importante venga svolta da env. Anche l'attivazione del recettore CXCR4 riveste una certa importanza in quanto esso è in grado di indurre una cascata molecolare apoptotica indipendente da Fas. Altri studi, inoltre, hanno dimostrato che l'attivazione di CXCR4 è un evento importante nello sviluppo dell'apoptosi sia dei linfociti CD4+ che CD8+.



perdita dei precursori delle cellule immunitarie. Si ritiene che ciò possa avvenire o per infezione diretta delle o di cellule progenitrici situate nel timo o di cellule accessorie capaci di secernere citochine e fattori necessari al processo di differenziazione.

si è notato un certo grado di omologia tra gp120, gp41 e gli antigeni HLA-DR e HLA-DQ. Ciò ha portato ad ipotizzare che eventuali anticorpi contro le proteine virali possano cross-reagire con le proteine HLA espresse su linfociti specifici determinando, così, un blocco del legame di quest’ultimi con il recettore CD4 delle cellule infette cui segue un'inibizione di tipo funzionale,

sembrerebbe che il legame di gp120 o gp41 sul CD4 sia in grado di inibire la funzione dei linfociti T helper rendendoli incapaci di rispondere alla stimolazione mediata da CD3,

possibile legame di superantigeni di origine virale alla catena b del TCR con conseguente anergia linfocitaria.

In corso di infezione da HIV vengono a crearsi due compartimenti virologici distinti ma comunicanti:



un compartimento attivo costituito dal virus libero nel sangue e da quello contenuto all'interno di linfociti caratterizzato da una replicazione virale elevata,

un compartimento di latenza costituito da linee cellulari e zone anatomiche dell'organismo dove il virus resta in uno stato latente e che fungono, perciò, da serbatoi (reservoir).



Se il compartimento attivo gioca un ruolo importante nel danneggiare il sistema immunitario, quello di latenza è il principale responsabile della mancata eradicazione del virus dall'organismo.





I reservoir di HIV vengono suddivisi in cellulari ed anatomici.

Quelli cellulari sono costituiti dalle cellule follicolari-dendritiche, dai linfociti CD4+ quiescenti e dai monociti-macrofagi.



Dei reservoir anatomici fanno parte, invece, il sistema nervoso centrale ed i ********* (sebbene altri compartimenti dell'organismo siano sopettati di avere una funzione simile).





Le cellule follicolari dendritiche sembrano avere un ruolo importante, almeno nelle prime fasi dell'infezione, a causa della loro funzione di presentazione dell'antigene, nel portare il virus a contatto con gli organi linfoidi o i linfociti CD4+. Oltre a ciò si è visto che sono capaci di trattenere sulla loro superficie un elevato quantitativo di virioni. Tuttavia in corso di terapia antiretrovirale tale numero si riduce drasticamente a tal punto che qualche autore sostiene che esse, in corso di terapia antiretrovirale efficace, perdano la loro funzione di reservoir o, al massimo, che diventi di secondo piano. E’ da notare, tuttavia, che tale conclusione non è unanimemente condivisa.





I linfociti CD4+ quiescenti possono essere infettati da HIV anche se le modalità di questo fenomeno non sono ancora chiare. I linfociti quiescenti vengono sottoposti a maturazione nel timo e da lì emergono rimanendo in uno stato latente fino all'incontro con l'antigene. Si ritiene che l'infezione col virus possa avvenire o nello stadio immaturo all'interno del timo (organo nel quale il virus è stato rintracciato) o nello stadio di quiescenza una volta completata la maturazione. In tal caso si ritiene che a causa dello stato di quiete della cellula il genoma virale si trovi nella forma non integrata. Un'altra ipotesi sostiene che il virus infetti linfociti attivi i quali, una volta concluso il loro stato di attività, possono andare incontro ad uno stato di latenza, ammesso che siano riusciti a sopravvivere. In tal caso il genoma virale si trova nella forma integrata anche se non si ha produzione di virioni.





I monociti/macrofagi sono un compartimento sottoposto ad un infezione cronica e produttiva da parte di HIV, essendo poco sensibili agli effetti citopatici del virus. La continua produzione virale e la capacità dei monociti di veicolare il virus in quasi tutto l'organismo rendono tale compartimento il più importante nel mantenimento dell'infezione. E’ noto,inoltre, che i monociti/macrofagi sono la principale fonte di virus in caso di interruzione o fallimento della terapia antiretrovirale.





E’ noto che HIV si può ritrovare nel sistema nervoso centrale di individui infetti. Da alcuni dati si ipotizza che la penetrazione del virus possa avvenire in tempi molto precoci dopo l'ingresso nell'organismo. Nel sistema nervoso centrale l'infezione virale è limitata ai macrofagi ed alle cellule della microglia mentre gli altri tipi cellulari non sembrano essere coinvolti (tranne gli astrociti la cui infezione, come si è affermato precedentemente, non è produttiva). L'assoluta particolarità del sistema nervoso centrale quale elemento di riserva di HIV la si evince anche dal fatto che il virus in esso presente è genotipicamente e fenotipicamente differente rispetto a quello plasmatico ed è tendenzialmente R5-using.





Per quanto riguarda l'apparato genitale maschile è noto che nel liquido seminale il virus si può rintracciare. sebbene non sia chiaro da quale cellule possa venir trasmesso. Da questo punto di vista è interessante notare che, in alcuni esperimenti, HIV-2, ma non HIV-1, abbia dimostrato di infettare le cellule di Leydig. Un altro studio ha dimostrato che i macrofagi testicolari esprimono CCR5, CXCR4, CD4 e CD45 suggerendo che essi siano i principali distributori del virus a quel livello. Anche nel caso dell'apparato genitale il virus rintracciabile presenta mutazioni differenti rispetto a quello plasmatico.



Ciò che l'infezione virale provoca è la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Sebbene una risposta immune particolarmente forte può essere utile per controllare la replicazione virale, il mantenimento di un tale stato nel corso del tempo può portare a progressivo esaurimento e deplezione cellulare.

Evento centrale nella patogenesi dell'infezione da HIV è l'interessamento della linea linfocitaria.

Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T:



Riduzione della risposta proliferativa alla stimolazione antigenica,

Sbilanciamento della risposta Th1 a favore di quella Th2. Ciò determina una riduzione dell'immunità cellulare a tutto vantaggio di quella umorale,

Mancanza o riduzione della risposta T ad opera di antigeni cui si era precedentemente suscettibili. Si ipotizza che ciò possa essere dovuto ad una precoce deplezione dei linfociti CD4 di memoria probabilmente a causa della loro alta espressione del recettore CCR5.



Attualmente si ritiene che tutti questi fenomeni non abbiano una base univoca ma multifattoriale:



è noto che l'HIV sia in grado di uccidere direttamente la cellula per lisi (effetto citopatico). Ciò potrebbe avvenire per accumulo eccessivo di particelle o materiale genetico o proteico di natura virale. Si pensa che a ciò si possa aggiungere un'inibizione eccedente dell'espressione proteica della cellula ospite,

l'HIV è in grado di generare sincizi per la fusione delle membrane cellulari di cellule infette tra loro oppure con cellule sane a causa del legame che si può formare tra gp120 e CD4. A seguito della fusione si determina un forte rigonfiamento e morte cellulare in poche ore. Sembrerebbe che la capacità di formare sincizi sia limitata solo ai ceppi T-tropici di HIV-1.

la formazione di anticorpi contro proteine dell'envelope virale può essere responsabile della lisi di cellule esprimenti questi antigeni sulla loro superficie. Possono intervenire diversi fenomeni in quest’evento: la lisi mediata da linfociti T specifici o ad opera di cellule citotossiche (NK, granulociti, fagociti mononucleati),

apoptosi linfocitaria. Questo fenomeno coinvolgerebbe sia i linfociti T CD4+ che quelli CD8+. Per i primi si sospetta il coinvolgimento del legame CD4-gp120 nella genesi del fenomeno cui si aggiunge l'attivazione linfocitaria per stimolazione del recettore per l'antigene

(TCR) con conseguente aggregazione dei CD4 e scatenamento del fenomeno apoptotico. Nella genesi di questo fenomeno, tuttavia, sono coinvolti altri fattori. Varie proteine virali, env, vpr, nef, vpu e tat hanno dimostrato di indurre apoptosi in linfociti T non infetti sebbene tra essa si ritenga che in vivo l'azione più importante venga svolta da env. Anche l'attivazione del recettore CXCR4 riveste una certa importanza in quanto esso è in grado di indurre una cascata molecolare apoptotica indipendente da Fas. Altri studi, inoltre, hanno dimostrato che l'attivazione di CXCR4 è un evento importante nello sviluppo dell'apoptosi sia dei linfociti CD4+ che CD8+.



perdita dei precursori delle cellule immunitarie. Si ritiene che ciò possa avvenire o per infezione diretta delle o di cellule progenitrici situate nel timo o di cellule accessorie capaci di secernere citochine e fattori necessari al processo di differenziazione.

si è notato un certo grado di omologia tra gp120, gp41 e gli antigeni HLA-DR e HLA-DQ. Ciò ha portato ad ipotizzare che eventuali anticorpi contro le proteine virali possano cross-reagire con le proteine HLA espresse su linfociti specifici determinando, così, un blocco del legame di quest’ultimi con il recettore CD4 delle cellule infette cui segue un'inibizione di tipo funzionale,

sembrerebbe che il legame di gp120 o gp41 sul CD4 sia in grado di inibire la funzione dei linfociti T helper rendendoli incapaci di rispondere alla stimolazione mediata da CD3,

possibile legame di superantigeni di origine virale alla catena b del TCR con conseguente anergia linfocitaria.

In corso di infezione da HIV vengono a crearsi due compartimenti virologici distinti ma comunicanti:



un compartimento attivo costituito dal virus libero nel sangue e da quello contenuto all'interno di linfociti caratterizzato da una replicazione virale elevata,

un compartimento di latenza costituito da linee cellulari e zone anatomiche dell'organismo dove il virus resta in uno stato latente e che fungono, perciò, da serbatoi (reservoir).



Se il compartimento attivo gioca un ruolo importante nel danneggiare il sistema immunitario, quello di latenza è il principale responsabile della mancata eradicazione del virus dall'organismo.





I reservoir di HIV vengono suddivisi in cellulari ed anatomici.

Quelli cellulari sono costituiti dalle cellule follicolari-dendritiche, dai linfociti CD4+ quiescenti e dai monociti-macrofagi.



Dei reservoir anatomici fanno parte, invece, il sistema nervoso centrale ed i ********* (sebbene altri compartimenti dell'organismo siano sopettati di avere una funzione simile).





Le cellule follicolari dendritiche sembrano avere un ruolo importante, almeno nelle prime fasi dell'infezione, a causa della loro funzione di presentazione dell'antigene, nel portare il virus a contatto con gli organi linfoidi o i linfociti CD4+. Oltre a ciò si è visto che sono capaci di trattenere sulla loro superficie un elevato quantitativo di virioni. Tuttavia in corso di terapia antiretrovirale tale numero si riduce drasticamente a tal punto che qualche autore sostiene che esse, in corso di terapia antiretrovirale efficace, perdano la loro funzione di reservoir o, al massimo, che diventi di secondo piano. E’ da notare, tuttavia, che tale conclusione non è unanimemente condivisa.





I linfociti CD4+ quiescenti possono essere infettati da HIV anche se le modalità di questo fenomeno non sono ancora chiare. I linfociti quiescenti vengono sottoposti a maturazione nel timo e da lì emergono rimanendo in uno stato latente fino all'incontro con l'antigene. Si ritiene che l'infezione col virus possa avvenire o nello stadio immaturo all'interno del timo (organo nel quale il virus è stato rintracciato) o nello stadio di quiescenza una volta completata la maturazione. In tal caso si ritiene che a causa dello stato di quiete della cellula il genoma virale si trovi nella forma non integrata. Un'altra ipotesi sostiene che il virus infetti linfociti attivi i quali, una volta concluso il loro stato di attività, possono andare incontro ad uno stato di latenza, ammesso che siano riusciti a sopravvivere. In tal caso il genoma virale si trova nella forma integrata anche se non si ha produzione di virioni.





I monociti/macrofagi sono un compartimento sottoposto ad un infezione cronica e produttiva da parte di HIV, essendo poco sensibili agli effetti citopatici del virus. La continua produzione virale e la capacità dei monociti di veicolare il virus in quasi tutto l'organismo rendono tale compartimento il più importante nel mantenimento dell'infezione. E’ noto,inoltre, che i monociti/macrofagi sono la principale fonte di virus in caso di interruzione o fallimento della terapia antiretrovirale.





E’ noto che HIV si può ritrovare nel sistema nervoso centrale di individui infetti. Da alcuni dati si ipotizza che la penetrazione del virus possa avvenire in tempi molto precoci dopo l'ingresso nell'organismo. Nel sistema nervoso centrale l'infezione virale è limitata ai macrofagi ed alle cellule della microglia mentre gli altri tipi cellulari non sembrano essere coinvolti (tranne gli astrociti la cui infezione, come si è affermato precedentemente, non è produttiva). L'assoluta particolarità del sistema nervoso centrale quale elemento di riserva di HIV la si evince anche dal fatto che il virus in esso presente è genotipicamente e fenotipicamente differente rispetto a quello plasmatico ed è tendenzialmente R5-using.





Per quanto riguarda l'apparato genitale maschile è noto che nel liquido seminale il virus si può rintracciare. sebbene non sia chiaro da quale cellule possa venir trasmesso. Da questo punto di vista è interessante notare che, in alcuni esperimenti, HIV-2, ma non HIV-1, abbia dimostrato di infettare le cellule di Leydig. Un altro studio ha dimostrato che i macrofagi testicolari esprimono CCR5, CXCR4, CD4 e CD45 suggerendo che essi siano i principali distributori del virus a quel livello. Anche nel caso dell'apparato genitale il virus rintracciabile presenta mutazioni differenti rispetto a quello plasmatico.



In circa la metà delle persone infettate dal virus dopo circa 3-6 settimane dal contatto si verifica una sindrome similnucleosica, la quale è espressione della cosiddetta "infezione acuta primaria" (o PHI: Primary HIV Infection), la prima fase dell'infezione da HIV, che spontaneamente regredisce e che è caratterizzata da: faringite, febbre, linfoadenopatia, astenia, cefalea, sonnolenza e rash cutaneo. La gravità dei sintomi è assai variabile. Tali manifestazioni si accompagnano ad un'intensa viremia ed ad un forte aumento della proteina p24. In alcuni casi si sono verificate delle infezioni opportunistiche probabilmente a seguito di una rapida diminuzione o disfunzione dei linfociti CD4. Come affermato precedentemente tale quadro sindromico regredisce in maniera spontanea e si assiste anche ad un aumento dei CD4 che tende a riportarsi nella norma (o a poco meno) ed a rimanere costante per un periodo più o meno lungo. Nel 10% dei casi, tuttavia, il quadro immunologico non migliora e precipita in maniera fulminante.



A distanza di 1-3 mesi dall'infezione si può verificare una sieroconversione con comparsi di anticorpi contro gli antigeni virali. Si ritiene che questo fenomeno sia coinvolto nella regressione della sintomatologia similnucleosica in quanto determina una brusca diminuzione della carica virale che diventa così bassa da non essere più rilevabile anche se il virus permane a livello dei linfmonociti. Il sistema immunitario, però, non riesce ad eliminare completamente il virus dall'organismo.

Successivamente il quadro della persona infetta tende a rimanere costante per un periodo assai variabile la cui mediana si aggira intorno ai 10 anni. Questo quadro viene definito di latenza clinica in quanto la persona non accusa altri sintomi o segni di malattia ma il cui sistema immunitario tende lentamente a declinare. Si è notato che la velocità di progressione è correlabile con la quota di RNA di HIV presente.

Maggiore è la quota di RNA, più rapido è il passaggio ad uno stato sintomatico. Talvolta in questa fase si può generare una linfoadenopatia persistente.



La continua deplezione dei linfociti CD4 e la loro disfunzione causano la comparsa di malattie alcune delle quali dovute ad infezioni opportunistiche mentre le altre sembrano dovute allo stato di infezione cronica da HIV. Tra le più frequenti si ricordano:



Linfoadenopatia generalizzata,

Lesioni orali quali mughetto, leucoplachia (forse per azione del virus di Epstein-Barr) ed ulcere aftose,

Herpes Zoster,

Trombocitopenia a causa sconosciuta ma di cui si sopetta un'azione diretta del virus sui megacariociti,



In questo stadio possono anche comparire lesioni neurologiche di vario tipo sia periferiche che centrali (queste ultime fanno parte di un complesso sindromico che va sotto il nome di AIDS Dementia Complex).

A questi sintomi se ne possono accompagnare anche altri quali febbre, diarrea e dimagrimento che vanno sotto il nome di complesso correlato con l'AIDS (AIDS related complex, ARC). I reperti che si ritrovano in corso di ARC da molti autori non sono considerati come uno stato di AIDS conclamato anche se, ovviamente, sono espressione di un declino del sistema immunitario.



Lo stato di ARC successivamente culmina nello stadio di AIDS conclamato caratterizzato da svariate infezioni opportunistiche (polmonite da Pneumocisitis carinii, criptosporidosi, toxoplasmosi, istoplasmosi, candidosi, citomegalovirus, tubercolosi, micobatteriosi atipiche, ecc.), neoplasie varie (sarcoma di Kaposi, linfomi a cellule B, carcinomi) e da una progressione del quadro neurologico.



Il più delle volte l'exitus avviene a seguito delle infezioni opportunistiche tra cui più spesso per le polmoniti.



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La terapia

Attualmente, l' infezione da HIV viene trattata con la cosiddetta highly active antiretroviral therapy (HAART) nella quale si utilizzano opportune combinazioni di farmaci antiretrovirali. Il suo utilizzo, a partire dal suo ingresso nel 1995, ha consentito di ridurre la morbidità e la mortalità degli individui che sono stati infettati dal virus. Tale terapia, inoltre, permette anche un miglioramento dei parametri immunitari con un netto aumento del linfociti CD4+ che sembra permanere fino a 4-5 anni cui si accompagna un abbassamento della carica virale plasmatica e liquorale.

L'utilizzo della HAART, tuttavia, in uno studio preliminare condotto su dieci persone infette da HIV-2 sembra avere una minore efficacia rispetto ai risultati che si ottengono con HIV-1.

Attualmente la terapia antiretrovirale utilizza farmaci appartenenti a tre classi:



gli inibitori della trascrittasi inversa, a loro volta distinti in inibitori nucleosidici, nucleotidici e non nucleosidici,

gli inibitori della proteasi,

gli inibitori della fusione,

Gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa per esplicare la loro azione devono venir trifosforilati dalle chinasi endocellulari e successivamente competono con i desossinucleotidi endogeni durante il processo di retrotrascrizione. L'efficacia di tali composti dipende dalla concentrazione intracellulare loro e dei desossinucleotidi con cui si trovano a competere. Ciò significa che cellule come i macrofagi, che hanno un metabolismo limitato ed in conseguenza di ciò una concentrazione molto bassa di desossinucleotidi, sono assai sensibili all'azione di tali farmaci.



Gli inibitori nucleotidici, di cui in Italia è registrato solo il Tenofovir si comportano come inibitori competitivi della trascrittasi inversa, come gli inibitori nucleosidici, ma, a differenza di quest’ultimi, presentano un gruppo fosfato legato ad una purina od una pirimidina. Ciò permette l'eliminazione della prima tappa di fosforilazione semplificando le tappe di metabolizzazione riducendole a due. Anche tale categoria di farmaci, così come gli inibitori nucleosidici, presenta un'azione maggiore sui macrofagi che sui linfociti infettati. Si è visto che l'indice terapeutico del Tenofovir sui monociti/macrofagi si aggira intorno a 15000 mentre sui linfociti si situa su 20.



Gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa esplicano la loro attività legandosi direttamente al sito attivo dell'enzima determinandone il blocco dell'azione. Tali farmaci sono indipendenti dal metabolismo cellulare in quanto non necessitano di alcuna modificazione e non risentono della concentrazione di dessosinucleotidi. A seguito di ciò il loro effetto su monociti/macrofagi e linfociti sembra essere equivalente.



Gli inibitori della proteasi vanno a bloccare l'ultima parte del ciclo replicativo di HIV in quanto impediscono la maturazione delle proteine virali. Ciò determina un blocco dell'assemblaggio e del rilascio di nuovi virioni. Un tale meccanismo d'azione fa sì che gli inibitori della proteasi siano utili in tutte quelle situazioni in cui le fasi iniziali del ciclo virale sono già passate rendendo perciò inutile l'uso degli inibitori della trascrittasi inversa. Una simile situazione si rinviene nei macrofagi i quali, come si è visto precedentemente, fungono da reservoir di HIV ai cui effetti citopatici sono poco sensibili. In tali cellule il genoma virale è già integrato in quello dell'ospite per cui gli unici composti in grado di bloccare la replicazione virale a questo livello attualmente sono gli inibitori della proteasi. Sfortunatamente la concentrazione efficace di questi composti sui monociti/macrofagi e maggiore di quella dei linfociti CD4+ attivi e spesso sono equivalenti alle massime concentrazioni plasmatiche raggiungibili in vivo. Ciò non solo può favorire la comparsa di effetti avversi ma può anche rendere ragione del fatto che in alcuni distretti dell'organismo l'inibizione della replicazione virale nei monociti/macrofagi ottenuta in tal modo sia incompleta.



Gli inibitori della fusione sono una categoria di farmaci usciti di recente di cui, al momento, l'unico esponente è l'Enfuvirtide, determinano un blocco del processo di fusione del virus con la membrana della cellula ospite. Questo processo si articola in tre fasi: aggancio, legame ai corecettori e fusione delle membrane. Enfuvirtide è un peptide che mima un motivo della proteina gp41. Quando la proteina gp120 si aggancia ai suoi recettori, gp41 subisce una serie di cambiamenti conformazionali che culminano nella formazione di una struttura a tre foglietti β che funziona da ponte tra il virione e la cellula da infettare. Enfuvirtide determina un blocco della regione amino-terminale della gp41 impedendo la formazione dei tre foglietti.



Sistema di Classificazione delle Infezioni da HIV secondo i CDC

Negli USA, la definizione di AIDS is governata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Nel 1993, i CDC allargarono la loro definizione di AIDS andando ad includere persone sane ma positive al test per l'HIV, e con un numero di linfocitiT CD4+ inferiore a 200 per µl di sangue. La maggioranza dei nuovi casi di AIDS negli Stati Uniti sono diagnosticati quando si ha un basso numero di linfociti T ed è presente una infezione da HIV (MMWR, 1992).
carolina c
2006-08-25 09:30:03 UTC
Il periodo finestra é di 6 mesi ed attenzione anche al sesso orale
Domenico S
2006-08-25 04:29:05 UTC
il periodo finestra come l'ha già definito tu, presenta un tempo che va da 1 settimana a 3 mesi ma generalmente è di 6-8 settimane. In questo periodo non ci sono anticorpi specifci contro antigeni virali.



per il discorso del rapporto orale, vale lo stesso per quello vaginale o rettale. I fluidi biologici, sperma e secrezioni vaginali (Non la saliva) contengono il virus ed in presenza di una lesione (anche non visibile ad occhio nudo) della mucosa orale, vaginale, rettale vi è la possibiltà di contagio.
tati
2006-08-25 03:50:44 UTC
dopo il contatto il virus ci vogliono almeno tre mesi per essere sicuri di esser stati contagiati... e il sesso orale... si è pericoloso, pericolo maggiore per quello praticato dalle donne... queste sono le versioni "ufficiali"...

se ti interessa l'argomento e vuoi una visione un po' diversa ti consiglio comunque di inserire in un qualunque motore di ricerca "AIDS la grande truffa"... almeno per curiosità...
JulieC
2006-08-25 00:36:34 UTC
Dal contatto con sangue(o altri liquidi corporei) infetti, passano circa 6 mesi prima che il virus sia visibile nel test. In linea di massima il sesso orale è meno pericoloso, ma non è sicuro! L'ideale sarebbe usare sempre il preservativo nei rapporti con una persona che non si conosce bene o che ha avuto in passato rapporti a rischio e non ha fatto il test (oltre tutto ci si difende da decine di altre infezioni, comprese alcune forma di epatite!!!)



In Italia comunque c'è una disinformazione pazzesca, ci sono tanti che credono sia una malattia da drogati, omosessuali, persone che vivono in ambienti degradati. Ma non è assolutamente vero!!!



Anzi, stanno aumentando le infezioni nelle persone eterosessuali della classe media, specialmente intorno ai 30 anni, perchè c'è la convinzione che l'allarme sia rientrato e che ormai, grazie alle medicine, si viva bene lo stesso: ergo, ci si protegge di meno.



Non trovate sia davvero stupido rischiare così?
*AmErIcAn HeLeN*
2006-08-24 20:59:22 UTC
non ne sappiamo mai abbastanza riguardo malattie come questa...



ciao;-)))
2006-08-24 18:32:59 UTC
E sempre difficile trattare argomenti come questi in poche parole!

Che cosa è l’AIDS



L’AIDS, la sindrome di immunodeficienza acquisita è causata dall’HIV. L’HIV, uccidendo progressivamente le cellule del sistema immunitario, mina le capacità dell’organismo di difendersi da infezioni e tumori definiti per questo infezioni opportunistiche, quelle che si verificano nelle persone con AIDS.





Trasmissione dell’HIV



Negli individui adulti l’HIV viene trasmesso più frequentemente nel corso di rapporti sessuali con un partner infettato. Nel corso del rapporto il virus entra nel corpo attraverso la mucosa vaginale, vulvare, del pene e del retto o, più raramente, attraverso la bocca. La probabilità di trasmissione è accresciuta da fattori che possono aver danneggiato la mucosa, quali ad esempio altre patologie trasmesse per via sessuale che provocano ulcere o infiammazioni (es. herpes genitale).



Non esiste evidenza alcuna che il virus possa essere trasmesso attraverso la saliva o il bacio.



Allo stesso modo non esiste nessun fattore di rischio, e quindi alcuna trasmissione del virus, associato all’utilizzo in comune di stoviglie, posate, bagni o ad altri contatti casuali tra persone sieropositive e persone sieronegative.



L’HIV può inoltre essere trasmesso mediante contatto con sangue infetto, specialmente a seguito dello scambio di aghi o siringhe contaminate da quantità anche minime di sangue contenente il virus. Il rischio di contrarre il virus da trasfusioni di sangue è ora ridotto dato che tutti i prodotti ematici vengono sottoposti a esami di routine per individuare il virus.



Quasi tutti i bambini affetti dall’HIV contraggono il virus dalle madri prima o durante la nascita, anche se l’allattamento al seno costituisce un ulteriore fattore di rischio. Le donne HIV positive che allattano al seno e non ricevono una terapia antiretrovirale, per la prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione, hanno dal 25% al 35% di probabilità di avere un figlio infetto.





Aspetti generali



L’infezione da HIV è caratterizzata da un graduale deterioramento del sistema immunitario. In particolare, durante l’infezione, i CD4+, cellule immunitarie di importanza cruciale, vengono inattivate e uccise. Queste cellule giocano un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria, in quanto segnalano ad altre cellule del sistema immunitario di porre in atto le proprie funzioni specifiche.



L’immunodeficienza da HIV è caratterizzata da un progressivo decremento delle cellule CD4+. Si parla di AIDS quando queste ultime scendono al di sotto di 200/mm3. In questo caso i soggetti diventano particolarmente vulnerabili a infezioni opportunistiche e tumori tipici dell’AIDS, lo stadio finale dell’infezione da HIV. I soggetti affetti da AIDS presentano spesso infezioni nel tratto intestinale, polmoni, cervello, occhi e altri organi, così come una debilitante diminuzione di peso, diarrea, condizioni neurologiche e tumori, quali il sarcoma di Kaposi e i linfomi.



La maggior parte degli scienziati ritengono che l’HIV provochi l’AIDS uccidendo direttamente le cellule T CD4+ o interferendo con il loro normale funzionamento e causando altri eventi che indeboliscono il sistema immunitario di un individuo.





L’HIV



L’HIV appartiene a una classe di virus definiti “retrovirus” che presentano geni composti da molecole di acido ribonucleico (RNA). I geni degli esseri umani e della maggior parte degli organismi sono formati da una molecola affine, l’acido desossiribonucleico (DNA).



Come tutti i virus, l’HIV può riprodursi solo all’interno delle cellule, gestendo i meccanismi cellulari di riproduzione. Tuttavia, solo l’HIV e altri retrovirus, una volta all’interno della cellula, utilizzano un enzima chiamato trascrittasi inversa per poter convertire il proprio RNA in DNA, che viene poi incorporato nei geni della cellula ospite.



L’HIV fa parte di un sottogruppo di retrovirus conosciuti come lentivirus. In realtà oggi si sa che anche se dal momento dell’infezione alla malattia conclamata possono passare degli anni, il virus HIV non rallenta mai la sua riproduzione all’interno dell’organismo infettato.



L’HIV si riproduce rapidamente; ogni giorno possono essere prodotti molti miliardi di nuove particelle virali. Inoltre la trascrittasi inversa dell’HIV commette vari errori quando produce copie di DNA da RNA dell’HIV. Per questo motivo, in un individuo si sviluppano molte varianti di HIV, alcune delle quali sfuggono alla distruzione da parte di anticorpi o cellule T killer. Inoltre l’HIV può ricombinarsi con se stesso per produrre un’ampia gamma di ceppi diversi. Sono questi i meccanismi che determinano la comparsa di resistenza ai farmaci.





Gli eventi iniziali dell’infezione da HIV



Una volta entrato nel corpo il virus infetta molte cellule CD4+ e si riproduce rapidamente. Durante questa fase acuta, o primaria, dell’infezione il sangue contiene numerose particelle virali che si diffondono per tutto il corpo e si disseminano in vari organi, in particolare negli organi linfoidi (linfonodi, milza, tonsille e adenoidi) che insieme ad altri distretti vengono definiti santuari o serbatoi del virus.



Dopo 2-4 settimane dall’esposizione al virus, fino al 70% dei soggetti infettati dall’HIV presenta sintomi simili a quelli dell’influenza. Dopo la fase acuta, la conta delle cellule T CD4+ di un soggetto può ritornare all’80-90% del suo livello originale. Un individuo può quindi non presentare più alcun sintomo correlato all’HIV per molti anni, anche se l’HIV continua a inesorabilmente a riprodursi e quindi non è mai latente.





L’AIDS



L’AIDS, cioè la malattia conclamata, si verifica nelle fasi avanzate dell’infezione da HIV. Sulla base delle classificazione formulate dai Center for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta si ha una diagnosi di AIDS quando la persona con HIV ha meno di 200 CD4 per millimetro cubico di sangue. Una persona adulta in buono stato di salute ha generalmente 1000 e oltre CD4 mm3 . Inoltre, sempre secondo la classificazione dei CDC esistono 26 condizioni cliniche che definiscono la diagnosi di AIDS. Si tratta di infezioni opportunistiche che sono tali proprio perché l’organismo non è in grado di difendersi dalla loro aggressione e il cui esito può essere fatale.



Da ampi studi epidemiologici condotti nei paesi occidentali risulta che il tempo medio tra l’infezione da HIV e lo sviluppo di sintomi AIDS-correlati è di circa 10-12 anni. Tuttavia i ricercatori hanno osservato numerose variazioni nella progressione della malattia. Circa il 10% degli individui infettati dall’HIV inclusi negli studi sono progrediti in AIDS entro i primi 2-3 anni dopo l’infezione, mentre fino al 5% delle persone presentano conte stabili delle cellule T CD4+ e nessun sintomo anche dopo 12 anni o più dall’insorgenza dell’infezione (Long Term Non-Progressor).



Il tasso di progressione e la gravità della malattia possono essere influenzati da vari fattori: età o differenze genetiche, livello di virulenza di un singolo ceppo virale e infezione concomitante con altri microbi.



Un altro indicatore importante è la carica virale, che è in grado di predire la progressione della malattia. E’ infatti un dato acquisito che la carica virale, ovvero la quantità di virus che è presente nel sangue, è direttamente legata alla progressione della malattia. Persone con elevata carica virale presentano quindi una progressione più rapida di quelli nei quali tale carica è bassa o addirittura non rilevabile.





Diagnosi



Poiché le fasi iniziali dell’infezione da HIV molto spesso non producono sintomi evidenti, la diagnosi di sieropositività può essere fatta solo attraverso un test, un’analisi del sangue che mira a rilevare la presenza di anticorpi verso l’HIV. La presenza di questi anticorpi raggiunge livelli rilevabili via via che il tempo passa dal momento dell’esposizione al virus: ecco perché il test deve essere fatto immediatamente dopo l’esposizione al contagio e ripetuto più volte nell’arco dei sei mesi a partire dall’eventuale infezione. Prima si fa il test e quindi prima si conosce il proprio status sierologico, prima si può mettere a punto una strategia efficace per sostenere il proprio sistema immunitario impegnato a contrastare l’infezione. Inoltre un test precoce consente di mettere nelle condizioni migliori la persona sieropositiva al fine di evitare comportamenti a rischio che possano portare all’eventuale contagio di altri individui.



Ovviamente il test è anonimo e deve essere fornito dal medico assieme a tutte le informazioni necessarie relative all’esame in sé e all’infezione da HIV, garantendo l’elevata riservatezza di tutte le informazioni sensibili che riguardano lo stato di salute della persona.



Due sono i test utilizzati: l’ELISA e il Western Blot.





Terapia



L’obiettivo della terapia, chiamata HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy), è quello di ridurre il più possibile la replicazione del virus, cioè di tenere la carica virale al di sotto della soglia di rilevabilità e idealmente di azzerarla. Ciò è possibile grazie a cocktail di farmaci che associano tre o quattro molecole diverse.



L’armamentario terapeutico per trattare l’infezione da HIV è molto cresciuto nel corso degli ultimi anni e può contare su farmaci che, utilizzati in combinazione, vengono divisi in tre diverse classi sulla base del meccanismo d’azione e del bersaglio verso cui si indirizzano all’interno del ciclo replicativo.



Le tre classi di farmaci sono:



Analoghi nucleosidici inibitori della trascrittasi inversa

Appartengono a questa classe:

zidovudina (azt), lamivudina (3TC) e abacavir, prodotti da Glaxo SmithKline,

didanosina (ddI) e stavudina (d4T), prodotti da Bristol Myers Squibb

zalcitabina (ddC) prodotto da Roche



Recentemente sono state poste in commercio compresse che contengono già la combinazione di alcuni di questi farmaci: è il caso della compressa che associa azt e 3TC e in tempi rapidi verrà commercializzata una compressa che conterrà la combinazione di azt, 3TC e abacavir. Le ragioni della messa a punto di queste compresse sono ovviamente di natura commerciale, giacché si tratta di molecole prodotte dalla stessa casa farmaceutica, ma vanno incontro anche alle necessità della persona in terapia che si vede così facilitata l’assunzione dei farmaci, riducendosi il numero complessivo di pasticche da assumere giornalmente.



Analoghi non nucleosidici inibitori della trascrittasi inversa

Appartengono a questa classe:

nevirapina, prodotto da Boehringer Ingelheim

efavirenz, prodotto da DuPont



Inibitori della proteasi

Appartengono a questa classe:

indinavir, prodotto da Merck Sharp&Dohme

ritonavir e lopinavir (disponibile dal prossimo aprile), prodotti da Abbott

saquinavir, saquinavir soft gel, nelfinavir prodotti da Roche

agenerase, prodotto da Glaxo SmithKline



I farmaci appartenenti a questa classe sono di più recente introduzione nella pratica clinica e il loro utilizzo in associazione con farmaci delle altre classi ha prodotto risultati notevolissimi in termini di riduzione della carica virale e quindi di progressione della malattia. Questo effetto ha prodotto una drastica riduzione dei casi di AIDS conclamato e della mortalità di AIDS, ovviamente in quelle nazioni in cui queste molecole sono disponibili e i budget della sanità e il reddito procapite sono tali da consentirne un uso su larga scala. Il fatto che questi risultati siano disponibili nei fatti solo nel nord del mondo, dove risiede solo il 5% del totale delle persone con HIV/AIDS nel mondo è una vergogna e uno scandalo: i progressi della scienza rischiano di essere cosa morta fin tanto che il sud del mondo, dove vive il 95% delle persone con HIV/AIDS non potranno avere accesso ai farmaci e strutture sanitarie e di cura disponibili sul loro territorio.



Va sottolineato comunque che questi farmaci hanno ancora effetti collaterali importanti, che vanno però ovviamente contestualizzati e messi in rapporto con la loro efficacia. Tali effetti si manifestano a medio e lungo termine, ma l’importanza e magnitudo di alcuni di questi è tale che la ricerca sta cercando di mettere a punto interventi preventivi in modo tale da ridurre il loro impatto sia clinico che in termini di qualità della vita della persona in terapia.


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
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